Laboratorio Politico della Destra Identitaria e Creativa


martedì 26 gennaio 2010

Obama bacchetta le banche!

Dopo la grande crisi finanziaria, che ha portato al crack, alcuni tra i più importanti colossi bancari internazionali, si torna a parlare di banche.
Quello che è accaduto lo scorso anno non è altro che l’epilogo, a tutti già noto, di una tragedia in cui a rimetterci, caso strano, non sono stati gli attori che inscenavano l’opera, ma il pubblico.
I grandi istituti di credito piuttosto che dedicarsi alla loro funzione pubblica, alla tutela del risparmio, hanno preferito trasformarsi in istituti finanziari che hanno investito in tutte le direzioni, senza alcuna cautela, aumentando il loro raggio d’azione, divenendo esse stesse imprese impegnate nei più disparati settori economici e produttivi.
Questa forte commistione di interessi tra istituti bancari, che spesso detengono la maggioranza delle quote azionarie delle società alle quali concedono credito, unita, con l’eccessiva propensione delle banche a fornire liquidità nel sistema statunitense e anglosassone, è sfociata in un terremoto economico-finanziario che ha portato al fallimento, alcune tra le più grandi banche d’affari d’oltre oceano e non solo.
In tutto ciò, ovviamente, la politica insegue e tenta di limitare i danni. Dopo i primi fallimenti, e soprattutto dopo il crack di Lehman Brothers, gli USA sono stati costretti ad abbandonare la linea liberista intervenendo, a spese dei contribuenti, per interrompere la catena dei fallimenti.
Tra i primi a spendere qualche parola sul da farsi per evitare il ripetersi di tali situazioni il ministro dell’economia Giulio Tremonti che, a margine del G20 di Londra, richiamò le banche al loro dovere sottolineando che esse “non devono comandare i governi” e aggiungendo che, dopo aver beneficiato di ingenti finanziamenti statali, non potevano chiudere il rubinetto per le piccole e medie imprese che avevano invece bisogno di liquidità per investimenti e innovazione, uniche armi contro la crisi. Da allora poco altro finché non è stato il presidente Obama a riportare l’argomento all’attenzione dei media e dell’opinione pubblica.
Il presidente americano ha proposto, infatti, nuove misure per limitare le dimensioni e le attività delle banche, che non potranno più investire negli hedge funds.
"I contribuenti americani non dovranno essere più ostaggio di banche troppo grandi per poter fallire". "La mia decisione viene soltanto rafforzata quando vedo che si ritorna a vecchie pratiche nelle società che si oppongono alle riforme, e quando vedo i profitti in crescita e gli osceni bonus in alcune delle società che sostengono di non poter concedere prestiti ai piccoli imprenditori", ha detto Obama, riferendosi ai bonus pagati quest'anno ai manager delle grandi banche.
Dopo lo strappo di Obama si sono fatte sentire anche le voci di Draghi, che in veste di presidente del Financial stabilty board dichiara:''Le proposte annunciate dagli Stati Uniti ieri rientrano nel range di opzioni che sono all'esame del Fsb nel suo lavoro volto a contenere i rischi posti dalle istituzioni troppo grandi per fallire'', e del cancelliere tedesco Merkel che insieme al suo ministro delle finanze sta preparando una conferenza internazionale per fissare nuove regole dei mercati finanziari e accelerare il processo di coordinamento, prima del prossimo vertice dei Paesi del G20, in programma a giugno in Canada.
Aspettiamo il G20 per giudicare, fiduciosi che il nuovo corso americano sia veramente orientato alla tutela dei risparmiatori e dei contribuenti e non delle lobby bancarie sempre più potenti in Europa, in America e nel mondo.

Pasqualino Favoriti

lunedì 25 gennaio 2010

far entrare senza freni è razzismo

“Basta con la demagogia vergognosa di coloro che vogliono far entrare tutti e poi se ne fregano se vivono come polli in batteria, senza acqua e senza cibo come abbiamo visto a Rosarno. Questa non è solidarietà, questo è razzismo e anche della peggiore specie perché è snob”. Lo ha detto il ministro della Gioventù, Giorgia Meloni, intervenendo alla convention del Pdl di Arezzo.

Chi non vuole il crocifisso se ne vada all'estero

Il ministro della Gioventù Giorgia Meloni (Pdl), presente ieri alla convention del Popolo delle Libertà ad Arezzo, si è espressa con durezza sulla questione del crocifisso negli uffici pubblici. “Sono stufa di vedere burocrati europei che stanno lì a sindacare se si possa appendere un crocifisso nelle scuole” ha affermato, sostenendo che “la maggioranza degli italiani lo vuole e questo vale anche per uno stato laico”. “Se qualcuno si offende”, continua “consiglio di prendere in considerazione l’idea di andare a vivere da qualche altra parte del mondo”. Il ministro Meloni ha aggiunto: “Noi rispettiamo le idee e le credenze di tutti, ma chiediamo lo stesso rispetto da chi viene a vivere in Italia. Non c’è nessuna minaccia in valori come il rispetto”.

venerdì 22 gennaio 2010

Strage di acca Larentina

Strage di Acca Larentia è la denominazione giornalistica (impropria in quanto non è configurabile il reato di strage) del pluriomicidio a sfondo politico avvenuto a Roma alle 18.20 del 7 gennaio 1978, in cui furono uccisi tre giovani attivisti del Fronte della Gioventù. Due di loro erano appena usciti dalla sede del Movimento Sociale Italiano di via Acca Larenzia, nel popolare quartiere Tuscolano, per un volantinaggio inerente ad un concerto del gruppo di musica alternativa di destra Gli Amici del Vento. Il terzo venne ucciso qualche ora dopo, durante gli scontri scoppiati con le forze dell'ordine in seguito ad una spontanea manifestazione di protesta organizzata davanti alla stessa sede dagli esponenti missini.

Agguato

Appena usciti dalla sede, cinque giovani militanti di destra furono investiti dai colpi di diverse armi automatiche sparati da un gruppo di fuoco di 5 o 6 persone; uno di loro, Franco Bigonzetti, ventenne iscritto al primo anno di medicina e chirurgia, fu ucciso sul colpo. Vincenzo Segneri, seppur ferito ad un braccio, riuscì a rientrare nella sede del partito, dotata di porta blindata, assieme ad altri due: Maurizio Lupini e Giuseppe D'Audino, rimasti illesi.

L'ultimo del gruppo, Francesco Ciavatta, liceale diciottenne, pur essendo ferito, tentò di fuggire attraversando la scalinata situata al lato dell'ingresso della sezione ma, seguito dagli aggressori, fu colpito nuovamente alla schiena; morì in ambulanza durante il trasporto in ospedale.

Nelle ore seguenti, col diffondersi della notizia dell'agguato, una sgomenta folla, composta soprattutto da attivisti missini romani, si radunò sul luogo.

In seguito, per motivi ed in circostanze non chiari, scaturirono dei tafferugli che provocarono l'intervento delle forze dell'ordine con cariche e lancio di lacrimogeni. Le apparecchiature video di giornalisti RAI furono danneggiate. Si dice che tutto fosse cominciato poiché un giornalista, distrattamente (alcuni sostengono l'intenzionalità dell'atto), avrebbe gettato un mozzicone di sigaretta nel sangue rappreso sul terreno di una delle vittime della sparatoria.[

Per far fronte al tafferuglio creatosi, il Capitano dei Carabinieri Edoardo Sivori sparò ad altezza d'uomo, centrando in piena fronte il diciannovenne Stefano Recchioni, militante della sezione di Colle Oppio e chitarrista del gruppo di musica alternativa Janus[2], a cui il cantautore Fabrizio Marzi dedicò nel 1979 la canzone "Giovinezza"; il giovane morì dopo due giorni di agonia.

Alcuni mesi dopo l'accaduto il padre di Ciavatta, portiere di uno stabile in Via Deruta 19, si suicidò per la disperazione bevendo una bottiglia di acido muriatico.

Rivendicazione

Il raid fu rivendicato alcuni giorni dopo tramite una cassetta audio fatta ritrovare accanto ad una pompa di benzina; la voce contraffatta di un giovane, a nome dei Nuclei Armati di Contropotere territoriale, dichiarò:


« Un nucleo armato, dopo un'accurata opera di controinformazione e controllo alla fogna di via Acca Larenzia, ha colpito i topi neri nell’esatto momento in cui questi stavano uscendo per compiere l'ennesima azione squadristica. Non si illudano i camerati, la lista è ancora lunga. »


(Rivendicazione della strage di Acca Larenzia a nome dei "Nuclei Armati di Contropotere territoriale")

Le indagini

Per circa 10 anni le indagini non portarono a conclusioni: solo nel 1988 si scoprì che la mitraglietta Skorpion usata nell'azione fu la stessa usata in altri tre omicidi firmati dalle Brigate rosse, ossia quelli dell’economista Ezio Tarantelli, dell’ex sindaco di Firenze Lando Conti e del senatore Roberto Ruffilli.

Furono accusati degli ex militanti di Lotta Continua: Mario Scrocca, Fulvio Turrini, Cesare Cavallari, Francesco de Martiis e Daniela Dolce.

Quest'ultima riuscì a non farsi catturare, rimanendo latitante, mentre Scrocca fu arrestato e si tolse la vita in cella il giorno dopo essere stato interrogato dai giudici.

Gli altri tre imputati, pur essendo arrestati, furono assolti in primo grado per insufficienza di prove.

Va sottolineato come l'arma impiegata nel 1978 rispunti fuori ben 7 anni più tardi (omicidio Tarantelli, 27 marzo 1985), per venire poi usata per uccidere Lando Conti (10 febbraio 1986) e Ruffilli (16 aprile 1988). Non viene quindi utilizzata negli anni in cui è più forte il terrorismo delle BR: il 1978 è l'anno del rapimento Moro, ma l'arma rispunta fuori a metà degli anni '80 nel periodo delle BR di Senzani, omicidio che Giorgio Galli, uno dei massimi esperti di lotta armata, vede come un chiaro messaggio della mafia al presidente del consiglio Giulio Andreotti e al suo ministro dell'interno Antonio Gava.[3]

Altri elementi inducono a dubitare circa una responsabilità delle Brigate Rosse. L'inaudita reazione delle forze dell'ordine nell'ambito dei successivi tumulti, con Recchioni che viene ucciso dal capitano Sivori che spara volontariamente ad altezza d'uomo davanti agli occhi di molti. La "copertura" di Cossiga al suddetto capitano Sivori, che non subisce di fatto conseguenze venendo condannato solo per "eccesso colposo di legittima difesa" (Cossiga dichiarerà anni dopo di averlo coperto e di essere finito conseguentemente nel mirino dei NAR). Il fatto stesso che la sigla che rivendica un attentato così efferato scompaia nel nulla rivela una prassi assolutamente diversa da quella brigatista; gli accusati, oltretutto, non si dichiareranno prigionieri politici, a differenza di quanto facevano generalmente i terroristi "rossi".

Ancora dubbio deve sicuramente ritenersi, considerati i precedenti nella "lotta al terrorismo" europea, il suicidio di Scrocca, che sarebbe stato assolto dal processo come gli altri accusati.

È opportuno rilevare, complessivamente, come l'agguato di Acca Larentia abbia generato un'ulteriore recrudescenza nelle tensioni tra gli opposti estremismi e contribuito al mantenimento di quello stato di tensione che per molti anni ha accompagnato la storia della prima repubblica: legittimo, dunque, il dubbio che l'agguato sia stato "commissionato" ad elementi esterni al terrorismo politico, proprio con questa finalità.[4]

Il primo anniversario

La vicenda ebbe un ulteriore strascico in occasione delle manifestazioni del primo anniversario. Il 10 gennaio 1979, infatti, scoppiarono di nuovo dei tumulti durante i quali l'agente di polizia in borghese Alessio Speranza sparò al diciassettenne Alberto Giaquinto, uccidendolo: successivamente l'agente fu prosciolto Il trentesimo anniversario [modifica]

Il 7 gennaio 2008, come da tradizione, si è tenuta la fiaccolata in onore delle vittime della strage che da piazza San Giovanni attraversa la via Tuscolana fino al luogo della sparatoria, dove si ricordano i nomi dei tre ragazzi uccisi e si onora la memoria dei militanti di destra uccisi negli anni di piombo.

Dopo "30 anni di ingiustizia" (è l'espressione usate sui manifesti affissi nella capitale per pubblicizzare l'evento), il sindaco di Roma Walter Veltroni ha deciso di intitolare una strada romana alle tre vittime della strage, così come in passato per il trentennale del rogo di Primavalle era stato deciso di intitolare una strada ai due ragazzi uccisi.

di omicidio.